Divieto di licenziamento per COVID 19

Con D.L. 104/2020 articolo 14 viene prorogata la disposizione in materia di licenziamento individuale e collettivo per giustificato motivo oggettivo introdotte dall’articolo 46 D.L. 18/2020 e poi oggetto dell’articolo 80 D.L. 34/2020.

Tali disposizioni obbligano il datore di lavoro alla possibilità di avviare alle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, L. 223/1991 ricorrendo alla sospensione delle stesse pendenti avviate dopo il 23 febbraio 2020.

Con il messaggio n. 528/2021, l’Inps affronta gli aspetti contributivi connessi con la citata disciplina normativa.

Accordo collettivo nazionale: interruzione del rapporto di lavoro

Rispetto al divieto di licenziamento sono previste alcune eccezioni. Nello specifico:

• l’articolo 14, comma 3, D.L. 104/2020, dispone che “le preclusioni e le sospensioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano nelle ipotesi

[…]

di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo” e che “a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22”;

• l’articolo 1, comma 311, L. 178/2020, prevede le stesse eccezioni alle suddette preclusioni al recesso del datore di lavoro, disponendo che le sospensioni e le preclusioni di cui ai commi 309 e 310 non si applicano in presenza di alcune condizioni legali, tra le quali l’ipotesi di un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, che consente l’accesso all’indennità NASpI ai lavoratori che vi aderiscono.

In questi casi il rapporto lavorativo volge al termine non per licenziamento, ma con risoluzione consensuale che viene stipulata tramite accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, per i singoli lavoratori che aderiscano all’accordo e in base alle modalità dallo stesso previste.

A decorrere dal 15 agosto 2020 le interruzioni di rapporto di lavoro intervenute con tale modalità devono essere esposte all’interno del flusso UniEmens con il nuovo codice Tipo cessazione “2A”. Per coloro che avessero adottato un codice Tipo cessazione diverso è necessario procedere alle dovute correzioni, secondo le consuete modalità.

Inoltre, dal momento che è previsto che al lavoratore, che aderisca all’accordo, sia possibile accedere alla richiesta di NASpI, anche a fronte dell’intervenuta risoluzione consensuale, il datore di lavoro è tenuto al versamento del c.d. ticket di licenziamento, da erogare in unica e sola soluzione entro e non oltre il termine di pagamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro, ma per le cessazioni intervenute prima del 5 febbraio 2021 il termine è quello del versamento della denuncia del mese di marzo 2021, senza applicazione di ulteriori oneri.

Ulteriori eccezioni dal divieto di licenziamento sono anche le seguenti, già oggetto della circolare Inps n. 40/2020, alla quale si rimanda:

• personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto di appalto;

• licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112, cod. civ.;

• licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione (nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso).

Revoca del licenziamento

L’articolo 14, comma 4, D.L. 104/2020, prima della sua conversione in Legge, prevedeva che il datore di lavoro potesse revocare i licenziamenti vietati per giustificato motivo oggettivo, purché contestualmente inviasse richiesta di trattamento di integrazione salariale COVID con decorrenza dalla data di efficacia del licenziamento revocato. La L. 126/2020, di conversione in Legge del Decreto, in vigore dal 14 ottobre 2020, ha abrogato il citato comma 4. La revoca dei licenziamenti è, quindi, stata possibile nell’intervallo di tempo dal 15 agosto al 13 ottobre 2020.

Successivamente alla revoca del licenziamento il rapporto di lavoro è ripristinato senza soluzione di continuità e il lavoratore beneficia del trattamento di integrazione salariale. Durante i periodi di integrazione salariale ordinaria o in deroga ovvero di assegno ordinario, le quote di Tfr maturate restano a carico del datore di lavoro, il quale, pertanto, se soggetto alla disciplina del Fondo di tesoreria, deve versare al predetto Fondo le quote di Tfr che il lavoratore ha maturato a partire dalla data del licenziamento revocato e durante il periodo di integrazione salariale, essendo, tuttavia, esonerato dal versamento degli oneri aggiuntivi.

Chi non avesse versato il dovuto potrà farlo senza applicazione di ulteriori oneri entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella di pubblicazione del messaggio Inps n. 528/2021, avvenuta il 5 febbraio 2021.

Resta inteso che, per i datori di lavoro tenuti al versamento al Fondo di tesoreria, l’obbligo contributivo resta permanente secondo le ordinarie scadenze durante i periodi di integrazione salariale non connessi alla fattispecie oggetto del messaggio.

Per maggiori informazioni i nostri Consulenti del Lavoro restano a disposizione.